Sicurezza sul lavoro e inclusione: si considerano davvero tutti nella valutazione dei rischi?
🖊️ La Redazione
La questione del binomio sicurezza sul lavoro e inclusione è complessa e merita una risposta sfumata.
Non esiste un articolo specifico nel principale testo normativo sulla sicurezza (D.Lgs. 81/2008) che imponga esplicitamente un approccio “inclusivo” con questo termine. Tuttavia, i principi fondamentali della legislazione italiana sulla sicurezza sul lavoro vanno fortemente nella direzione di promuovere un approccio inclusivo, anche se non sempre lo definiscono con questo singolo vocabolo.

La base per garantire un ambiente di lavoro sicuro e salubre risiede nella valutazione dei rischi e nel DVR (Documento di valutazione dei rischi). Come evidenzia uno studio dell’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (OSHA), un approccio alla valutazione dei rischi che non tenga conto della diversità della forza lavoro può paradossalmente portare a marginalizzare alcune categorie di lavoratori, vanificando l’obiettivo primario di tutela.
La Direttiva del Consiglio 89/391/CEE, pietra miliare della legislazione in materia di sicurezza e salute, sancisce chiaramente la necessità di “adeguare il lavoro all’uomo”. Questo principio sottolinea l’importanza di riconoscere e considerare le peculiarità di ogni individuo nell’organizzazione del lavoro e nell’implementazione delle misure di sicurezza. Ignorare questa eterogeneità, adottando un approccio basato su un ipotetico “lavoratore medio”, rischia di produrre soluzioni di sicurezza inefficaci per una parte significativa della forza lavoro.
Immaginare un lavoratore privo di specificità conduce inevitabilmente a misure di sicurezza standardizzate che potrebbero non rispondere adeguatamente alle esigenze di tutti. Le differenze individuali sono molteplici e interconnesse: parliamo di diversità fisiche (età, sesso, statura, peso, disabilità), cognitive (capacità di apprendimento, linguaggio), culturali (nazionalità, religione, lingua madre) e sociali (esperienze di vita, background socioeconomico).
Il rapporto dell’OSHA individua sei categorie di lavoratori potenzialmente più a rischio proprio a causa di una valutazione dei rischi non pienamente inclusiva:
- Lavoratori immigrati: possono affrontare barriere linguistiche e culturali che ostacolano la comprensione delle procedure di sicurezza e la segnalazione di pericoli.
- Lavoratori disabili: necessitano di ambienti di lavoro e strumenti adattati alle loro specifiche esigenze per poter operare in sicurezza e autonomia.
- Lavoratori giovani: spesso con meno esperienza e consapevolezza dei rischi, possono essere più vulnerabili agli infortuni.
- Lavoratori anziani: potrebbero avere limitazioni fisiche legate all’età che richiedono una particolare attenzione nell’organizzazione del lavoro e nella scelta delle attrezzature.
- Lavoratrici: possono essere esposte a rischi specifici legati alle differenze biologiche, all’organizzazione del lavoro e a dinamiche di genere.
- Lavoratori temporanei: spesso meno informati sui rischi specifici del luogo di lavoro e meno coinvolti nelle dinamiche aziendali, possono essere più esposti a pericoli.
Benefici di una valutazione dei rischi inclusiva

Adottare una valutazione dei rischi che abbracci la diversità porta con sé numerosi vantaggi tangibili:
- Maggiore Efficacia delle Misure di Sicurezza: Misure personalizzate e mirate sono intrinsecamente più efficaci nel prevenire infortuni e malattie professionali.
- Riduzione degli Infortuni: Un ambiente di lavoro più sicuro e inclusivo porta naturalmente a una diminuzione degli incidenti.
- Aumento della Motivazione e della Produttività: Lavoratori che si sentono considerati e tutelati sono più motivati e produttivi.
- Miglioramento del Clima Aziendale: Un ambiente inclusivo favorisce la collaborazione, il rispetto e il benessere di tutti.
- Rafforzamento della Brand Image: Un’azienda che dimostra un impegno concreto per la sicurezza e l’inclusività attrae talenti e consolida la propria reputazione.
Verso una valutazione dei rischi realmente inclusiva
Come possiamo, dunque, trasformare la valutazione dei rischi in un processo realmente inclusivo, che non marginalizzi nessuno e anzi valorizzi la diversità come una risorsa? Ecco alcune misure preventive fondamentali:
Cultura aziendale
Una cultura aziendale inclusiva è il fondamento di un ambiente di lavoro sicuro e rispettoso. Va oltre la semplice assenza di discriminazione e promuove attivamente la valorizzazione delle differenze. Ciò si traduce in politiche aziendali che supportano la diversità, programmi di sensibilizzazione, leadership che promuove l’inclusione con l’esempio, e meccanismi per affrontare i conflitti in modo costruttivo. Una cultura inclusiva favorisce fiducia, collaborazione, benessere e innovazione, con ricadute positive su tutta l’organizzazione.
Creare un ambiente di lavoro universalmente accessibile
Un ambiente di lavoro sicuro per tutti inizia con un design universale. Ciò significa progettare spazi, strumenti e flussi di lavoro che siano intrinsecamente accessibili a persone con diverse abilità, età e background. Non si tratta di semplici adattamenti successivi, ma di integrare l’accessibilità già in fase progettuale. Rampe, segnaletica intuitiva, postazioni regolabili e software compatibili con tecnologie assistive sono solo alcuni esempi. Ogni modifica introdotta deve essere valutata anche in ottica inclusiva.
Costruire una cultura della partecipazione e del feedback
La sicurezza non è un processo top-down, ma una responsabilità condivisa. Per questo, è essenziale costruire una cultura della partecipazione, in cui i lavoratori si sentano non solo ascoltati, ma attivamente coinvolti nella definizione delle pratiche di sicurezza. È fondamentale creare spazi di ascolto attivo e canali efficaci per la segnalazione di pericoli, proposte di miglioramento e valutazioni delle pratiche esistenti. Comitati di sicurezza eterogenei, sondaggi interni e momenti di confronto aperto rafforzano il senso di appartenenza e la qualità delle misure di prevenzione.
Investire in un apprendimento inclusivo e continuo
La formazione deve tener conto delle diverse modalità di apprendimento e dei bisogni individuali. È utile combinare approcci teorici e pratici, strumenti multimediali, formazione peer-to-peer, materiali multilingue e supporti specifici per chi ha difficoltà cognitive o sensoriali. La formazione deve essere continua e aggiornata, non un’attività occasionale.
Formazione dei preposti e dei dirigenti in chiave inclusiva
Spesso la formazione sulla sicurezza si concentra sugli aspetti tecnici e legali, ma chi ha responsabilità organizzative deve essere formato anche alla gestione inclusiva dei team. Preposti e dirigenti hanno un ruolo cruciale nel garantire che le prassi di sicurezza siano realmente applicate in modo equo e sensibile alle differenze individuali.
Coinvolgimento delle rappresentanze sindacali e dei RLS
Le rappresentanze dei lavoratori, in particolare i RLS (Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza), svolgono un ruolo chiave nel connettere i bisogni dei lavoratori con le strategie aziendali: possono essere un ponte tra diritti, sicurezza e inclusione. Coinvolgerli in modo proattivo sui temi dell’inclusione permette di individuare criticità, raccogliere suggerimenti e costruire soluzioni condivise.
Salute mentale e benessere psicosociale
I rischi psicosociali (stress lavoro-correlato, burnout, ansia e depressione) sono spesso sottovalutati nei DVR, nonostante il loro impatto crescente. Tali fattori colpiscono in modo diseguale, con effetti più marcati su lavoratori in condizioni di maggiore vulnerabilità (come caregiver, persone neurodivergenti, migranti o donne in contesti ostili). Integrare la salute mentale nella valutazione dei rischi è un passo fondamentale per una vera inclusione.
Tecnologia e inclusione
L’innovazione tecnologica può essere un potente alleato dell’inclusione, ma solo se progettata responsabilmente. Interfacce poco accessibili o strumenti non adattabili possono escludere alcuni lavoratori. Al contrario, tecnologie inclusive (come sensori intelligenti, realtà aumentata, software accessibili o percorsi formativi immersivi) possono migliorare la sicurezza e l’autonomia di tutti, in particolare dei più fragili.
La dimensione intersezionale
Quando più fattori di vulnerabilità si sovrappongono (ad esempio nel caso di una giovane donna migrante con disabilità) i rischi aumentano in modo esponenziale. Una valutazione dei rischi realmente inclusiva non può basarsi su categorie isolate, ma deve adottare una prospettiva intersezionale, in grado di cogliere la complessità delle interazioni e sovrapposizioni tra età, genere, origine, abilità e condizioni sociali.
Un focus specifico: l’evoluzione normativa e l’ottica di genere
La tradizionale normativa sulla sicurezza sul lavoro, per lungo tempo, non ha pienamente considerato le differenze di genere, età o provenienza. Ambienti di lavoro, attrezzature e persino i Dispositivi di Protezione Individuale (DPI) sono stati spesso progettati pensando a un individuo “standardizzato”, di sesso maschile, occidentale e di corporatura media.
Questa visione limitata ha portato a trascurare le specifiche esigenze di diverse categorie di lavoratori.

Come detto, la nuova sensibilità normativa mira a superare questa concezione di “lavoratore medio”, riconoscendo che l’appartenenza a un genere, l’età e il background culturale possono influenzare l’esposizione ai rischi e la risposta alle misure di prevenzione.
Una criticità importante è però la carenza di metodologie per la valutazione dei rischi in ottica di genere. Sebbene la consapevolezza sull’importanza di considerare le differenze stia crescendo, tradurre questo principio in pratiche di valutazione concrete presenta ancora delle sfide. Ad esempio: non solo uomini e donne possono essere esposti a rischi differenti in base al settore lavorativo, ma possono anche reagire diversamente alla stessa esposizione.
Questa complessità sottolinea l’urgenza di sviluppare strumenti e approcci metodologici che guidino i datori di lavoro nell’identificare e valutare i rischi tenendo conto delle specificità di genere e di altre diversità.
Lo scorso anno, INAIL ha pubblicato “La valutazione dei rischi in ottica di genere“, primo volume di una serie che offre linee guida fondamentali per integrare le differenze di genere nella valutazione dei rischi sul lavoro. L’iniziativa include un approfondimento sulla UNI/PdR 125:2022, prassi che aiuta le aziende a implementare politiche di parità e garantire un ambiente di lavoro inclusivo.
È uno strumento operativo che fornisce ai datori di lavoro indicazioni concrete per integrare la prospettiva di genere nella valutazione dei rischi, andando oltre la mera tutela della maternità.
Spesso, infatti, la differenza di genere nella valutazione dei rischi viene confusa con la sola protezione delle lavoratrici madri (già disciplinata dal D.lgs. n. 151/2001 – Testo Unico sulla maternità e paternità). Il rischio di genere abbraccia una questione ben più vasta: la guida INAIL evidenzia la necessità di considerare le differenze biologiche, sociali e culturali, nonché l’interazione tra lavoratori e lavoratrici all’interno dell’organizzazione.

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